White Love Story

White Love Story


-Svegliati- disse una calda voce, così bella e delicata che era come se mi stesse accarezzando. Nonostante riuscissi a sentirla, però non riuscivo ad aprire gli occhi. –Non arrenderti- parlò di nuovo stavolta prendendo la mia mano nella sua e stringendola, come per darmi forza. Avrei voluto parlare, ma il mio corpo non rispondeva, l’unica cosa che potevo fare era ascoltarlo, sentire il calore della sua pelle vellutata. Il mio cuore ormai si stava fermando, stavo morendo; ormai non avevo più la forza per combattere contro ciò che sapevo era inevitabile. –Ti prego- lacrime. Quella persona stava piangendo, piangeva per me; perché?. –Non arrenderti! Come posso vivere senza di te?- il mio cuore che si stava lentamente affievolendo ricominciò a battere, nessuno aveva mai pronunciato simili parole per me. –Ti amo, Lin Kyul-. Sentì lasciare la prese sulla mia mano e i suoi passi. Se ne stava andando? Perché? Riuscì a protendere la mia mano che afferrò l’aria. Lui non c’era più; ora ero io a piangere. Perché quella persona voleva salvarmi? Perché ha detto di amarmi? Chi è? Volevo saperlo.

Quando ebbi la forza per riaprire gli occhi accanto a me non vi era nessuno, ero sola in quella stanza d’ospedale dove ormai risiedevo da diversi anni. Il dottore entrò e mi sorrise come faceva tutti i giorni. –Dottor Fan Juu Go- dissi spaesata mettendomi seduta su quello scomodo letto di ospedale –Lin Kyul, resta a riposo, questa volta ci hai fatto davvero preoccupare- allora stavo davvero per morire? Non era solo un sogno. Risi. –Sembra che neanche questa volta lì accontenterò- dissi pensando ai miei genitori. Fan Juu mi si avvicinò e mi accarezzò i lunghi e setosi capelli neri paterno, per me lui era davvero il padre che non avevo mai avuto. –Sono sicuro che i tuoi genitori non vogliano la tua morte. Se non sono qui è perché non sopportano vederti soffrire- forse aveva ragione, ma come avrei potuto perdonarli? Mi avevano abbandonata in quel’ospedale non appena avevano scoperto la malattia, mi avevano dato la colpa, mi avevano gridato dure parole che ancora rimbombavano nella mia mente ogni giorno continuando a tenere aperta quella ferita che credevo non sarebbe mai potuta guarire. Juu Go mi visitò e poi se ne andò promettendo che sarebbe ripassato più tardi; rimasi di nuovo sola. In quella stanza non c’era nessuno, l’ultimo compagno di stanza se ne era andato via due mesi fa. Ogni volta era così, loro guarivano mentre io rimanevo lì inerte a guardarli andare via. Ormai avevo quasi diciotto anni ed avevo passato gli ultimi dieci anni a vedere sempre gli altri uscire da quella stessa porta da cui era uscito Juu Go e non tornare più. Nessuno tornava mai. Rimasi a fissare con sguardo lontano quella porta dalla quale era uscito quel ragazzo, chiedendomi se sarebbe tornato o se come tutti gli altri, non avrebbe mai più solcato quella porta. Perché lo stavo aspettando? Non sapevo neppure chi era! Eppure quella voce mi era così familiare … ma davvero non ricordavo dove l’avevo sentita, eppure lui doveva conoscermi. “Ti amo” non sono parole che si dicono a caso ad una sconosciuta, giusto? Dovevo assolutamente ricordare. Inutile, però era sforzarmi. Presi l’mp3 e lo accesi, ormai la musica era la mia unica compagna. Si accese su “White love story” degli As one. Così romantica e allo stesso tempo triste. Chiusi gli occhi e mi persi ad ascoltare le emozioni che essa mi procurava, ogni volta mi sembrava di poter toccare qualcuno o qualcosa, ma ogni volta questa mi sfuggiva dalle mani … proprio come era successo prima che mi svegliassi. Lui poteva toccarmi, ma io non potevo toccare lui.

Passarono tre anni, quella voce non si era più fatta sentire e io potevo finalmente uscire dall’ospedale. Finalmente ero guarita, o così almeno sembrava, ma ora stavo davvero bene. Era già da sei mesi che non avevo più avuto attacchi cardiaci. Mi faceva paura uscire da quel posto che era stata la mia casa per tredici lunghi anni, com’era ora il mondo esterno? Sicuramente non era più come lo ricordavo. Nemmeno in quella occasione i miei genitori vennero a prendermi. –Lin Kyul- disse alla mie spalle quella voce calda. Mi girai di scatto, impaziente. Davanti a me c’era un bellissimo ragazzo dai capelli, lunghi fino al collo, castani. Occhi neri come pozzi di petrolio, ma pieni di luce quasi ritraessero un cielo stellato, alto e sottile. –Han Hyung- dissi senza pensare, quella volta fu il mio cuore a parlare. Lui annuì e mi abbracciò. –Ti ho aspettato così a lungo- mi sussurrò. Piansi, come avevo potuto scordarmi di lui così facilmente? Dell’unica persona che avevo mai amato? Ero stata una vera stupida, a scordarmi del mio amico d’infanzia e di quella promessa. –Scusa- dissi contro il suo petto –Ma ora non me ne andrò mai più- Le nostre labbra si incontrarono. Non importava se eravamo in pubblico. Mi prese la mano e mi portò fuori, mi portò fuori da quell’oscurità. L’unica cosa che desiderai in quel momento fu, non lasciare mai più quella calda e gentile mano e seguirlo così per l’eternità.